Bottega e fabbrica. I luoghi di lavoro nel canturino

“La consapevolezza che i grandiosi scenari ambientali non fossero opera esclusiva della natura, bensì la combinazione di questa con l’azione del lavoro dell’uomo è stata perfezionata con sorprendente chiarezza sin dall’inizio dell’età moderna. Ogni modifica del paesaggio avveniva nel rispetto dei tempi e delle leggi della natura, mai in contrasto con essi. Ogni azione era regolata dal fluire stagionale del tempo, secondo un’incontrovertibile scansione circolare.

Con il processo di industrializzazione le trasformazioni apportate dall’uomo al territorio iniziarono però ad assumere connotazioni precedentemente ignote: i cambiamenti furono sempre più repentini e incisero sui quadri ambientali con forme durature e spesso irreversibili. “Un tempo l’uomo – ha scritto lo scrittore boemo Milan Kundera – viveva nel quadro di una società che si trasformava molto lentamente, ora d’improvviso ha cominciato a sentire la Storia muoversi sotto i suoi piedi come un tapis roulant”. L’uomo iniziava ad agire non più dentro la natura, bensì sopra di essa, sovrastandola.

Nel suo insieme, il Canturino ha conosciuto piuttosto tardi il processo di industrializzazione: lo sviluppo manifatturiero ha iniziato a manifestarsi con una certa evidenza soltanto nell’ultimo scorcio del XIX secolo e i suoi tratti distintivi sono stati ben più complessi e originali dei luoghi comuni coi quali si tende a descriverli. Se, infatti, la fabbricazione del mobile ha caratterizzato l’economia locale per un secolo e mezzo, non sono mancati aspetti altrettanto importanti che hanno contribuito a definire il quadro fisico, economico e sociale della città. Per dimensioni, fatturato e numero di addetti, la fabbrica tessile Vittorio Vergani e il mobilificio Paleari sono state le prime realtà industriali dell’ambito canturino con cui l’intera città si è misurata. Nella prima metà del Novecento proprio gli stabilimenti Vergani e Paleari da una parte, e la bottega artigiana dall’altra, hanno costituito i luoghi più indicativi, e in qualche modo opposti, del lavoro nel Canturino. Da una parte la fabbrica, tecnologicamente all’avanguardia, in cui trovavano impiego centinaia di operai, dall’altra il piccolo laboratorio di alcune decine di metri quadrati, al cui interno operavano un numero limitato di addetti, spesso componenti di un’unica famiglia. La Vergani e le micro imprese del mobile sono stati l’emblema del lavoro a Cantù nella prima metà del XX secolo. Luoghi contrastanti per dimensione, approccio, attrezzature, salubrità e sicurezza.
Alle micro imprese del legno si affiancarono altre attività collaterali a sussidio del ciclo produttivo del mobile, per consentirgli di trovare tutto sul posto: intagliatori, intarsiatori, doratori, laccatori, tappezzieri, vetrai, bronzisti e ottonai completavano e valorizzavano i manufatti d’arredo, la qualità dei quali era ormai ampiamente apprezzata.
Saranno le Esposizioni a occuparsi della commercializzazione del prodotto finito e, in una certa misura, a decretarne il successo. L’affermazione del mobile di Cantù venne garantito proprio dal ruolo commerciale svolto dalle associazioni di artigiani, la prima delle quali, l’Esposizione Permanente Mobili, si costituì nel 1893.

 

Sino alla fine degli anni Cinquanta la maggior parte del territorio canturino ha mantenuto una destinazione prevalentemente agricola e, pur fra i segnali sempre più evidenti dell’incipiente espansione urbana, senza difficoltà si riconoscevano ancora i quadri ambientali di impianto ottocentesco. La persistenza, da una parte, di un’agricoltura intensiva e policolturale, dall’altra, dei nuclei compatti degli abitati, permetteva di riconoscere nel paesaggio una stretta corrispondenza con quelle pur rare vedute delle campagne canturine realizzate nella prima metà del XIX secolo. Raffigurazioni che contribuiscono a darci un’idea delle forme dell’ambiente ottocentesco e sottolineano in maniera inequivocabile come quello stesso paesaggio avesse mantenuto intatti i suoi caratteri specifici sino a metà Novecento.
A partire dagli anni Sessanta, in pochi lustri, un equilibrio secolare è stato gradualmente modificato, sino a causare, nell’ultimo quarto del secolo scorso, il suo quasi definitivo disfacimento. […]”

 

di Tiziano Casartelli

L’articolo si può leggere integralmente sul numero 53 di Canturium, luglio 2017.