Dieci anni fa la scomparsa del fotografo Gianni Paini

“La documentazione della realtà attraverso le immagini è un’operazione che si sottrae a norme prestabilite e richiede una sensibilità d’osservazione di cui sono dotati i grandi fotografi. Qualità certamente appartenuta a Gianni Paini, testimone riconosciuto degli anni del boom economico nel Comasco, da lui documentati in migliaia di fotografie rigorosamente in bianco e nero. La fotografia ha talvolta avuto la prerogativa di trasformare fatti e gesti, anche quelli apparentemente banali che la vita quotidiana ci induce a compiere, in icone di una precisa realtà storica, nell’immagine stessa di un’epoca.

Nato a Carimate nel 1929, è proprio nello scenario brianteo dei primi anni Sessanta che inizia la sua attività di fotografo. Nonostante la sua sia stata un’occupazione poliedrica, in cui le vesti di fotoreporter, giornalista e pubblicista si sovrapponevano, è con la fotografia che l’espressione documentaria di Paini raggiunse certamente il punto più alto. Le sue immagini, spesso realizzate a corredo di un pezzo di cronaca, registrano i risvolti quotidiani della società briantea negli anni dello sviluppo economico, il consolidarsi di nuovi stili di vita, o il definitivo esaurirsi di abitudini arcaiche.

Le fotografie di Gianni Paini sono un resoconto prezioso di un universo che in quegli anni rifondava se stesso e con minuziosa attenzione registrano il clima culturale di una città e di un distretto in piena espansione economica, ricca di iniziative imprenditoriali e culturali, aperta, come mai più sarebbe avvenuto, al clima culturale europeo. Di quel periodo coglie innanzitutto le contraddizioni e le lacerazioni di una società in trasformazione, che la vita in provincia riusciva solo in parte ad attenuare: l’immagine vitale e moderna che la Brianza mostrava di sé non era che uno degli aspetti di una realtà ben più complessa. Se difatti una parte della società cercava di adeguarsi a modelli di comportamento più avanzati, l’altra, tutt’altro che esigua, conservava abitudini e retaggi di antica tradizione. […]”

Tiziano Casartelli

L’articolo si può leggere integralmente sul numero 55 di Canturium, gennaio 2018.