A quindici anni dal Concorso di Piazza Garibaldi

L’impianto originario di piazza Garibaldi risale ai primi decenni del XIX secolo, ed è legato alle iniziative di carattere sociale attuate dagli austriaci all’indomani del loro rientro in Lombardia, dopo la parentesi napoleonica, con l’intento di combattere la disoccupazione e alleviare lo stato di indigenza della popolazione meno abbiente attraverso la realizzazione di opere pubbliche.

Il nuovo palazzo della Permanente Mobili in costruzione, in primo piano l’area semicircolare di sosta. Foto Giuseppe Croci, 1957.


La deputazione canturina presentò il progetto di una piazza da aprirsi ai piedi della basilica di San Paolo, che potesse diventare il centro civile e religioso del borgo. In quel momento la zona interessata era occupata da edifici e orti di proprietà privata che ne ingombravano buona parte della superficie. Dopo una lunga controversia imposta dall’acquisizione delle aree, nell’agosto del 1824 fu finalmente convocata un’asta pubblica per la messa in vendita degli immobili da demolire.
Alla conclusione delle operazioni di sgombero, nel marzo del 1827 il Comune affidò all’ingegnere Carlo Montanara l’incarico di redigere una “perizia della spesa occorrente per l’inghiaiamento della piazza.” L’anno successivo i lavori per la realizzazione di piazza Grande erano per buona parte completati. Nella seconda metà degli anni Ottanta del XIX secolo la piazza fu intitolata a Giuseppe Garibaldi, denominazione che conserva ancora oggi.


Sebbene nei primi decenni del nuovo secolo siano state attuate alcune ratifiche al profilo della piazza, in virtù del tracciato della linea tramviaria e dell’edificazione del palazzo della Permanente, sino al primo dopoguerra il suo impianto conservò l’impostazione originaria: un ampio invaso completamente sgombro, delimitato per tre lati da una cortina edilizia di scarsa qualità, con il lato orientale chiuso dalla scenografica rampa di accesso alla basilica di San Paolo e al palazzo Pietrasanta. Soltanto a partire dagli anni Cinquanta con l’aumento del traffico e l’apertura di nuovi tracciati stradali convergenti verso il centro, piazza Garibaldi fu ridisegnata e trasformata nel principale snodo viabilistico di Cantù. Invece di alleggerire il centro storico dall’intensità del traffico, dirottando i flussi verso assi più esterni, il nuovo piano della viabilità potenziò l’impianto stradale preindustriale convogliando il traffico verso Piazza Garibaldi, al centro della quale fu accolta un’area di parcheggio delimitata da una quinta di pini marittimi.


Con la crescita della vegetazione, palesemente allogena, la piazza assumeva una connotazione impropria, in qualche modo esotica, che contribuì ad alimentare il dibattito sulla qualità estetica del luogo, sulla necessità del suo ripensamento e sull’opportunità di dar vita a uno spazio pedonale in cui passeggiare, incontrarsi e discutere: un luogo pubblico che rappresentasse pienamente l’identità collettiva. Per accelerare questo processo, si ricorse persino al parere espresso quarant’anni prima da Leo Longanesi, secondo il quale la piazza canturina sarebbe stata la più brutta d’Italia, evitando però di puntualizzare che il giornalista romagnolo si era riferito a un luogo affatto diverso, che il tempo aveva inevitabilmente modificato. […]

L’articolo si può leggere sul numero 60 di Canturium, giugno 2019.

Valerio Gaeti, istallazione Cantù cento torri, Festa del Legno, 2015. Giornata conclusiva con le scolaresche. Foto Nino Monti.